Uganda | «Covid-19: non c’è, ma siamo pronti»

di Enrico Casale
Ministra della Sanità di Base Uganda al Lacor bis

«A oggi non ci sono casi di Covid-19 in Uganda, ma ce li aspettiamo. E siamo pronti». A parlare così è la ministra della Sanità di Base Joyce Moriko Kaducu, in visita al Lacor Hospital di Gulu per l’inaugurazione di un nuovo laboratorio.

«Il Lacor Hospital è in una posizione strategica, tra Paesi come il Sud Sudan, la Rd Congo e il Kenya in cui si sono già registrati casi di Covid-19: è urgente essere pronti nel caso arrivasse fino a qui. Ma noi lo siamo – ha confermato il dottor Emanuel Ochola, epidemiologo e biostatistico, responsabile del Dipartimento Hiv, Ricerca e Documentazione del Lacor –. L’ospedale è in massima allerta, ma abbiamo un vantaggio: grazie all’esperienza avuta con l’epidemia di ebola del 2000, siamo in grado di tracciare esattamente e in breve tempo tutti i contatti di chi si è infettato e quindi di circoscrivere l’epidemia».

Non solo. «Abbiamo attuato subito nuove procedure per ricevere i pazienti: facciamo uno screening a tutti quelli che presentano con tosse e che hanno la polmonite e stiamo tenendo sotto controllo il numero di casi di polmonite, da sempre una delle prime cause di ricovero e di morte, per vedere se stanno aumentando. Questo può infatti essere considerato un indicatore precoce di casi di coronavirus.  Inoltre abbiamo aumentato le misure di prevenzione universali come l’utilizzo delle mascherine anche quando si curano pazienti con altre patologie; abbiamo organizzato punti in cui i pazienti possono avere accesso a dispositivi con prodotti antisettici e ci stiamo attrezzando per aumentare le forniture di dispositivi di protezione individuale», continua Ochola.

Questo è possibile sempre di più grazie alla donazione straordinaria di 300mila euro che la Fondazione Corti, onlus italiana nata per sostenere il Lacor Hospital, ha inviato in questi giorni per prepararsi ad affrontare un’eventuale epidemia.

Aggiunge Ochola: «Abbiamo iniziato a formare il personale sanitario per riconoscere i casi di coronavirus e attivato un meccanismo che ci aiuterà ad isolare i pazienti velocemente. In questo modo potremo isolare subito il primo paziente e i primi casi. Per quando scoppierà l’epidemia, abbiamo una decina di letti in terapia intensiva e siamo consapevoli che non saranno occupati solamente dai pazienti con coronavirus. Siamo tuttavia uno dei pochissimi ospedali in quest’area dell’Africa che produce ossigeno e lo porta al letto del paziente».

Questo è possibile grazie a un sistema di distribuzione nei reparti di pediatria, maternità, medicina, terapia intensiva e nelle sale operatorie che raggiunge un centinaio di letti.

«Si tratta di un sistema attivo da due anni, quando, con il supporto dell’Italia, è stato realizzato un impianto di produzione di gas medicali – spiega Jacopo Barbieri, ingegnere energetico, deputy technical manager al Lacor –. Fino a due anni fa l’ossigeno proveniva da bombole che dovevamo comprare a Kampala, la capitale, che dista 340 chilometri dal Lacor Hospital. Avere l’ossigeno al letto del paziente in un’emergenza come quella del coronavirus fa la differenza in termini di quantità di ossigeno disponibile, praticità, efficienza, affidabilità e costi. L’impianto è collegato alla linea elettrica di emergenza, funziona quindi anche quando manca la corrente; la purezza dell’ossigeno prodotto è molto elevata (95%)».

«L’epidemiologia del coronavirus in Africa – spiega Emanuel Ochola – non è ancora stata determinata, ma sappiamo da voi che c’è un’incidenza di casi gravi nei pazienti anziani e in quelli affetti da immunodeficienze. L’Uganda ha una popolazione molto giovane, ma un’alta percentuale della nostra gente è affetta da forme di immunodeficienza a causa dell’elevata incidenza di Hiv (il 6% della popolazione è sieropositiva). Siamo preoccupati di vedere l’effetto di quest’elevata incidenza di Hiv in caso di epidemia. Inoltre, nei Paesi africani che hanno riportato casi di coronavirus, c’è un’alta incidenza di malaria e stiamo cercando di capire come questo possa influenzare la situazione.  Ciò che mi preoccupa di più è la velocità con cui si diffonde questo virus: è molto alta, ed è molto difficile fermarlo. Forse dire che sono preoccupato non è la parola giusta, direi ansioso, e sto cercando di trasformare la mia ansia in preparazione».

L’esperienza avuta con l’epidemia di ebola aiuta l’ospedale. Al Lacor gli operatori sanno come muoversi e questo fa la differenza per un virus come il Covid-19, tra i più contagiosi oggi esistenti. «Sono situazioni drammatiche e capiamo lo sforzo di tutti i medici e infermieri italiani, a cui siamo vicini», dichiara il dottor Emmanuel Ochola.

L’Uganda non ha sottovalutato il problema: dal 7 marzo tutti i passeggeri in arrivo negli aeroporti della nazione vengono sottoposti a screening della temperatura e chi arriva da Paesi a rischio deve mettersi in auto-isolamento per 14 giorni. Spiega la ministra Joyce Moriko Kaducu: «Abbiamo messo in quarantena, o si sono messe in autoisolamento, persone con sospetto contagio. In tutta la nazione, oltre 1600 persone si sono auto-isolate e molte hanno già finito il periodo di isolamento. Queste misure hanno aiutato: non ci sono casi di coronavirus, né confermati né sospetti, sul territorio nazionale. L’Uganda è in grado di diagnosticare il coronavirus, l’Ugandan Virus Research Institute (Uvri – Istituto di ricerca virologia dell’Uganda) di Entebbe può eseguire i test diagnostici. Uno dei pochi in tutta l’Africa capace di diagnosticare il coronavirus. I protocolli in atto sono due: nella fase di “sospetto” eseguiamo il kit cinese per il test rapido che ci fornisce una risposta di diagnosi veloce. La fase di “conferma” si basa sull’analisi della Pcr (Polymerase chain reaction), che è lo standard imposto dall’Organizzazione mondiale della sanità. I campioni sospetti di tutto il Paese vengono raccolti e, nel giro di 24 ore, arrivano all’Istituto di Virologia di Entebbe per essere analizzati».

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