Si chiama «Lacor Hospital», è immerso nella savana ugandese, ed è il primo datore di lavoro privato del Nord Uganda. La sua mission non è solo curare, ma anche dare una spinta all’economia e creare sviluppo e formazione dando impulso all’emancipazione della donna in Africa.
Al Lacor, che compie 60 anni, il lavoro è donna. Infermiere, ostetriche, dottoresse: sono donne tre operatori sanitari su quattro e le scuole interne, attive da oltre quarant’anni, formano ogni anno centinaia di studentesse.
«Molte delle nostre infermiere sono le uniche in famiglia a pagare le rette scolastiche per i bambini. Non solo i loro, ma anche quelli dei parenti che non hanno la possibilità di finanziare la scuola dei propri figli». A parlare è il chirurgo Martin Ogwang, uno dei tre direttori ugandesi di questo grande polo sanitario, tra i maggiori ospedali non profit dell’Africa Equatoriale. 250mila pazienti accolti ogni anno, 10mila nascite di cui 1500 cesarei, 80mila bambini curati, dove per bambini si intendono i piccoli fino a cinque anni. I numeri di un’Africa che funziona.
«È lo studio a rendere una donna indipendente, in grado di prendere decisioni sulla sua vita e quella dei suoi figli». Durante la conferenza stampa, Caroline Okello, responsabile del personale al Lacor, testimonierà come, per una donna, educazione e impiego non siano solo uno strumento per emanciparsi, ma anche un modo per far studiare i bambini propri e del villaggio. L’istruzione è la chiave di volta per dare un futuro alle giovani donne africane, prevenire matrimoni e gravidanze precoci.
Un miracolo? No. Un’attenta (e appassionata) gestione delle risorse.
«Un’attenta gestione che va di pari passo con un modo silenzioso, ma più efficace, di sostenere l’Africa e le sue necessità», spiega Dominique Atim Corti, Presidente dell’omonima Fondazione. Secondo l’Oms, infatti, l’80% delle attrezzature in Africa sono donate, ma solo il 10-30% è stato messo in funzione dopo sei mesi. L’aiuto è davvero efficace solo se parte dai bisogni reali, se si lascia la governance nelle mani del personale locale e si sostengono con continuità i costi correnti. Gli aiuti «a pioggia» non servono.
«Il Lacor non rappresenta un costo per la popolazione locale, un buco nero economicamente sterile, come troppo spesso accade – commenta Laura Suardi, Segretario Generale Fondazione Corti -. Garantendo salute e dando lavoro e formazione non solo combatte malattie e povertà, ma aiuta la pace e la stabilità».
Un esempio virtuoso nel cuore dell’Africa Equatoriale. «Se consideriamo che “famiglia allargata” significa mantenere anche 7/8 bambini, possiamo concludere che una comunità di almeno settemila persone vive grazie agli stipendi che il Lacor Hospital paga ai suoi dipendenti» precisa ancora Laura Suardi.
«Oggi Il Lacor Hospital, fondato sessant’anni fa dai miei genitori, il pediatra Piero Corti e la chirurga canadese Lucille Teasdale, è punto di riferimento per la cura delle più diffuse malattie della povertà tra cui malaria e Hiv», aggiunge Dominique Atim Corti. Insieme al governo ugandese e ai massicci sforzi di screening e cura è riuscito a ridurre i casi di Hiv. In Uganda, dagli anni Ottanta a oggi le persone sieropositive sono passate dal 30 al 6% della popolazione, grazie alle politiche di prevenzione, screening e terapia.
Anche la malaria ha avuto grande beneficio dalle politiche di prevenzione. «La letteratura scientifica ha dimostrato un’importante correlazione tra le politiche di Indoor spraying e i casi di malaria», spiega la dottoressa Valeria Calbi, ematologa al San Raffaele di Milano e per molti anni responsabile della pediatria del Lacor. «Dopo la disinfestazione, capanna per capanna, che è andata avanti dal 2009 al 2014, ad esempio, i bambini ricoverati per malaria durante la stagione delle piogge sono passati da circa 300 a circa 100 al giorno».