di Valentina Giulia Milani
Duro colpo per i diritti umani in Uganda, le cui autorità hanno dichiarato che non rinnoveranno l’accordo con l’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (Ohchr) dopo 17 anni di presenza di quest’ultimo nel Paese dell’Africa orientale.
In una lettera del ministero degli Affari Esteri del Paese all’Ohchr, datata 3 febbraio e resa pubblica martedì, si afferma che l’ufficio non è più necessario poiché la situazione dei diritti umani in Uganda è notevolmente migliorata. “Considerato il forte impegno per la promozione e la protezione dei diritti umani, la pace prevalente in tutto il Paese, insieme alle forti istituzioni nazionali per i diritti umani e alla vivace società civile… il ministero desidera comunicare la decisione del governo di non rinnovare il mandato dell’ufficio nazionale dell’Ohchr in Uganda”, si legge nella lettera, autenticata da un responsabile delle comunicazioni del ministero.
Il ministero ha dichiarato che l’Uganda continuerà tuttavia a collaborare con la sede dell’Ohchr direttamente o attraverso la Missione permanente a Ginevra.
Istituito nel 2006, l’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani in Uganda aveva il mandato di concentrarsi sulla situazione dei diritti umani nelle aree colpite dal conflitto della regione settentrionale. Il mandato, tuttavia, è stato rinnovato per coprire l’intero Paese nel 2009. Nel 2020, è stato nuovamente rinnovato per creare un istituto di formazione regionale sui sistemi internazionali dei diritti umani. L’attuale mandato scade ad agosto.
Mariam Fauzat Wangadya, presidente della Commissione ugandese per i diritti umani, ha dichiarato ai media locali che lo stato dei diritti umani nel Paese “è normale”. “Abbiamo fatto grandi passi avanti nella promozione dei diritti umani e siamo un Paese pacifico. Abbiamo un sistema giuridico ben sviluppato e tribunali funzionali e indipendenti”, ha dichiarato Wangadya. “Abbiamo istituzioni come la mia che controllano gli errori che si verificano e li correggono”.
Una posizione non condivisa dagli attivisti per i diritti umani che hanno condannato la decisione del governo ugandese di chiudere l’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani del Paese, definendola “vergognosa”.
Secondo il Guardian Uk, la decisione arriva a meno di tre mesi dall’adozione delle osservazioni conclusive sull’Uganda da parte del Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura, che ha sollevato preoccupazioni per il fatto che la tortura e i maltrattamenti continuino a essere praticati frequentemente nel Paese e ha chiesto di indagare e perseguire i funzionari della sicurezza accusati di uso eccessivo della forza, violenza e detenzione arbitraria.
In un tweet, il direttore esecutivo del Forum per la sensibilizzazione e la promozione dei diritti umani, Adrian Jjuuko, ha dichiarato: “La chiusura dell’ufficio di Onu dimostra che [il] governo ha perso il senso della vergogna. Non vuole più un attento controllo internazionale sulla sua situazione dei diritti umani. Se i protettori vengono mandati via, cosa succederà a coloro che stavano proteggendo? Ci aspettano tempi duri”, ha aggiunto.
Inoltre, Jjuuko ha dichiarato che “questo è incredibile e le ragioni addotte dal governo sono una presa in giro del reale stato dei diritti umani nel Paese. Affermare che l’Uganda non ha più bisogno dell’ufficio [Ohchr] a causa della sua forte posizione a favore dei diritti umani è a dir poco ironico”.
Il cantante reggae ugandese diventato leader dell’opposizione, Bobi Wine, ha da parte sua detto che non è una sorpresa che il presidente dell’Uganda, Yoweri Museveni, al potere dal 1986, abbia chiuso l’Ohchr. “Ricorderete che all’indomani delle elezioni del 2021 e delle centinaia di persone uccise o rapite dal regime di Museveni, abbiamo presentato una petizione all’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani e i militari hanno brutalizzato i giornalisti proprio lì. L’Ufficio delle Nazioni Unite ha condannato queste azioni. Non sorprende che sia stato chiuso”, ha detto Wine.
Adrian Jjuuko ha avvertito che la chiusura dell’ufficio indica che “il governo non è più disposto a far controllare la propria situazione dei diritti umani dagli attori internazionali”. E questo secondo lui lascerebbe “le organizzazioni locali molto più esposte al rischio di essere messe a tacere e di limitare il loro lavoro senza che il governo tema una stretta sicurezza internazionale. È un giorno davvero triste per il movimento per i diritti umani in Uganda”.
Un posizione comprensibile se si pensa che non troppi mesi fa il governo ugandese ha sospeso la principale organizzazione per i diritti degli omosessuali nel Paese, accusandola di non essere registrata presso le autorità. Il direttore esecutivo dell’Ong, Frank Mugisha, aveva denunciato una “caccia alle streghe”.
L’Ufficio nazionale delle organizzazioni non governative, sotto il ministero degli Affari interni, aveva annunciato in un comunicato la sospensione “con effetto immediato” dell’associazione Sexual Minorities Uganda (Smug). Si tratta di “una chiara caccia alle streghe radicata nell’omofobia sistematica e alimentata dai movimenti anti-gay”, aveva dichiarato il suo direttore, Frank Mugisha.
L’Ong aveva quindi ricordato alla stampa locale che nel 2012 le autorità avevano respinto una richiesta di registrazione dell’organizzazione giudicando il suo nome “indesiderabile”. Secondo Smug, questo rifiuto è stato “un chiaro indicatore” dell’intransigenza del governo ugandese, che “tratta le minoranze sessuali e di genere ugandesi come cittadini di seconda classe”.
L’omofobia è diffusa in Uganda, dove l’omossessualità è perseguibile per legge. Le molestie e le intimidazioni sono all’ordine del giorno nel Paese per gli appartenenti alla comunità Lgbtq e non solo.