Uganda, «Viviamo nel terrore, ma non ci arrendiamo»

di claudia

di Valentina Giulia Milani – foto di Stuart Tibaweswa

Viaggio fra i transessuali ugandesi perseguitati dalla legge e dall’omofobia. In Uganda l’omosessualità è punita dalla legge, e nei confronti di gay, lesbiche, bisessuali e transgender furoreggia un clima di avversione e intolleranza. «Abbiamo paura a uscire di casa. Temiamo per la nostra incolumità, ma rivendichiamo il diritto a vivere la nostra diversità… Non siamo forse esseri umani?»

«Qui da noi non puoi baciare o tenere per mano la tua compagna pubblicamente se sei lesbica, ti brucerebbero viva». Con queste parole, accompagnate da uno sguardo rassegnato, Lillian Baraza, bisessuale, descrive il clima di oppressione e terrore che vivono le persone omosessuali e transgender in Uganda. A farle eco è Kalvin, transessuale: «Sono stata arrestata dalla polizia mentre rincasavo dopo aver partecipato all’evento Miss Pride, che mi aveva visto concorrente. Non avendo commesso alcun reato, mi hanno imprigionata con un pretesto: sostenevano che mi travestivo per truffare la gente». «È stata davvero dura passare giorni dietro le sbarre semplicemente a causa di quello che sono», dice Kalvin entrando nel vivo della drammatica quotidianità che vivono le persone Lgbtq (lesbiche, gay, bisessuali, transgender o queer) a Kampala, capitale di un Paese dove l’omosessualità è illegale.

A esacerbare le difficili condizioni di vita e di lavoro degli omosessuali e non solo, c’è, oltre a una legislazione particolarmente ostile, il sentimento omofobo che, complici certe testate scandalistiche e filogovernative, si è fortemente diffuso e radicato negli ultimi anni.

Caccia alle streghe

Tra le pubblicazioni più eclatanti – non l’unica e nemmeno l’ultima –, quella del 25 febbraio 2014. Il tabloid scandalistico Red Pepper sbatteva in pagina 200 primi piani di omosessuali e lesbiche “top” con tanto di nome, cognome e indirizzo. Il titolo urlava a caratteri cubitali: «Scoperti!», mentre l’articolo ingiungeva agli ugandesi di denunciare gli omosessuali alle autorità. Questo accadeva all’indomani dell’approvazione della legge da molti chiamata Kill the Gay Bill (Legge ammazza-gay), che prevedeva l’ergastolo per gli omosessuali e 14 anni di galera per chi li difendeva.

L’indignazione della comunità internazionale, la chiusura dei finanziamenti all’Uganda da parte degli Stati Uniti e la mobilitazione di molti attivisti portarono la Corte costituzionale ad abrogare la legge il 1° agosto 2014. Ma in questi anni la situazione non è affatto migliorata per il mondo Lgbtq in una nazione dove il sesso omosessuale è punibile con anni di carcere e dove la censura e le violazioni dei diritti umani sono fomentati dalla classe politica. Sono infatti all’ordine del giorno licenziamenti, incarcerazioni, allontanamento da scuole e chiese, nonché il ripudio della famiglia e degli amici. A fine maggio 2023, Il presidente ugandese Yoweri Museveni ha approvato una legge, a dispetto delle condanne occidentali, che come riportano varie organizzazioni viola i diritti delle persone Lgbtq. La legge, compresa la pena di morte per “omosessualità aggravata”, è una delle più severe al mondo contro le persone Lgbtq e l’approvazione di Museveni spinge ancora di più l’Uganda nel novero dei Paesi intolleranti.

Nel maggio 2018, Simon Lokodo, allora ministro dell’Etica e dell’Integrità, bloccò un evento preparato dall’organizzazione “Minoranze sessuali Uganda” (Smug) per celebrare la Giornata internazionale contro l’omofobia. Nello stesso anno le autorità vietarono un dibattito pubblico sulle persone Lgbtq, con il plauso della maggioranza dei parlamentari, contrari a un evento – fu definito – «pericoloso e oltraggioso perché contrario ai valori culturali dell’Uganda». Lo stesso presidente Yoweri Museveni, nei suoi comizi elettorali in vista delle elezioni del 2021, aveva promesso di «sradicare l’omosessualità in Uganda» in caso di rielezione.

Trans nel mirino

I membri della comunità Lgbtq si trovano così a fare i conti con un tessuto sociale ostile, che si tramuta in discriminazione anche nell’accesso ai servizi. «Nei centri sanitari, per esempio, le persone omosessuali non sono servite allo stesso modo», testimonia Lillian. E come testimonia il servizio pubblicato in queste pagine, il clima si è fatto particolarmente pesante per i transessuali (che non accettano il proprio sesso assegnato alla nascita e si identificano in quello opposto, o che ne hanno assunto caratteri somatici) e i transgender (con atteggiamenti sociali e sessuali che combinano caratteristiche di ambo i sessi senza identificarsi interamente in nessuno dei due). Sono loro le vittime predilette della campagna d’odio contro chiunque osi sfidare il perbenismo e la morale.

«Siamo costretti a nascondere la nostra identità, a reprimere la nostra natura perché considerata blasfema o immorale», raccontano all’unisono i trans ritratti nella loro casa dal fotografo ugandese Stuart Tibaweswa, una serie di immagini di grande impatto. «Viviamo nel terrore di essere arrestati o addirittura linciati. In Uganda non c’è alcuna libertà di esprimere la propria diversità». Tra gli episodi discriminatori più recenti figura l’arresto a fine maggio di due attivisti di Smug che si erano rivolti alla polizia per denunciare un reato. Invece di ricevere aiuto, sono stati arrestati.

In carcere senza motivo

Secondo uno studio di Human Rights Watch (Hrw), la crisi generata dalla pandemia da covid-19 ha aggravato le disuguaglianze, le violenze e gli abusi ai danni della comunità Lgbtq. Nel marzo 2020, ha denunciato l’organizzazione di difesa dei diritti civili, la polizia ha arrestato i venti residenti di una casa di accoglienza per giovani Lgbtq senza fissa dimora vicino a Kampala. A luglio, il Forum per la sensibilizzazione e la promozione dei diritti umani (Hrapf) ha intentato una causa civile ai funzionari locali e carcerari e al procuratore generale, contestando «gli atti di tortura, i trattamenti crudeli, inumani e degradanti» perpetrati sui giovani.

Pochi mesi prima, novembre 2019, la polizia aveva fatto irruzione nel Ram Bar, un noto locale di Kampala frequentato da Lgbtq, e arrestato arbitrariamente 125 persone, accusandone 67 di «disturbo dell’ordine pubblico» in assenza di qualsiasi prova di reato. A fare da contraltare alla censura e alla stampa omofoba sono gli attivisti della comunità perseguitata e le loro audaci iniziative editoriali. Tra di esse spicca la rivista Bombastic e il sito annesso Kuchu Times creati proprio nel 2014, quando l’ombra del Kill the Gay Bill incombeva e decine di attivisti, riunitisi per il Gay Pride nei pressi di Entebbe, venivano pestati a suon di manganelli.

La lotta continua

Bombastic è un mensile che pubblica testimonianze e storie di vita quotidiana di omosessuali e lesbiche ugandesi. Direttrice del magazine è Kasha Jacqueline Nabagesera, una quarantina d’anni, militante lesbica, vincitrice nel 2011 del Martin Ennals Award (“Nobel” per i diritti umani, con sede a Ginevra) e nel 2015 del Right Livelihood Award (importante riconoscimento a persone e gruppi che s’impegnano nella costruzione di una società migliore), nonché direttrice e fondatrice della ong Freedom and Roam Uganda, la principale organizzazione di difesa dei diritti degli omosessuali nel Paese.

«Bombastic lo facciamo stampare di notte, di nascosto, in una tipografia di persone amiche, ma non è facile trovare i fondi per far uscire tutti i numeri. Per questo abbiamo creato anche un sito: kuchutimes.com. Oltre alle nostre storie, sul web pubblichiamo quotidianamente news sulla nostra comunità», spiega uno dei redattori, che preferisce non rivelare il nome. «Corriamo molti rischi, perché il governo condanna anche la diffusione delle nostre idee sui mezzi di comunicazione». Nonostante il clima inquisitorio subito ogni giorno, la maggior parte degli omosessuali ugandesi continua a lottare per i propri diritti e a sognare una società migliore: «Se parliamo di uguaglianza, libertà di parola e di espressione, oltre che di accesso alle cure mediche per tutti gli ugandesi, perché tutto questo non può valere anche per noi Lgbtq? Non siamo forse ugandesi? Non siamo forse esseri umani?», invoca uno degli attivisti.

Questo articolo è uscito sul numero 2/2023 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop

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