di Federico Monica
A Tamale, nel nord del Ghana, nel cuore della savana sorge il nuovo atelier e museo di Ibrahim Mahama, noto artista contemporaneo che a soli 35 anni si è imposto come uno dei più promettenti autori al mondo e che vanta già tre esibizioni alla Biennale di Venezia. Tra le opere che si possono visitare c’è Non orientable Nkansa: una miriade di oggetti che raccontano una storia, tra fatica quotidiana, arte di arrangiarsi, creatività ma anche di sofferenza e sfruttamento
Non appena si abbandona la strada asfaltata, la pista di terra rossa circondata dal verde rigoglioso dell’erba sembra perdersi nell’orizzonte piatto, movimentato solo da qualche albero di mango o da lontane case isolate. Ma ecco che all’improvviso una struttura enorme prende forma in lontananza, poi un’altra e un’altra ancora.
Le pareti in mattoni di terracotta e i grandi porticati intorno le rendono simili a grandi cascine della pianura padana finite chissà come nel nord del Ghana. Le costruzioni circondano delle ampie corti, mentre dentro un grande spazio ancora senza copertura file di piante di mais si accalcano intorno a una pozza d’acqua centrale e sopra delle balconate, come se fossero immobili spettatori di un misterioso spettacolo. E le sorprese non finiscono qui: di fianco ai mastodontici edifici, fra cespugli e greggi di capre al pascolo, sbucano di colpo le fusoliere bianche di un gruppo di aerei in disuso parcheggiati nel cuore della savana.
La luce del pomeriggio che disegna ombre attraverso i frangisole in laterizio e si riverbera sugli oblò rende il luogo ancora più magico e spettrale. Siamo nel Red Clay studio, il nuovo atelier e museo di Ibrahim Mahama, notissimo artista contemporaneo originario di Tamale che a soli 35 anni si è imposto come uno dei più promettenti autori al mondo e che vanta già tre esibizioni alla Biennale di Venezia. Proprio a Tamale Ibrahim Mahama ha mantenuto il suo campo base, realizzando pochi anni or sono un altro importante centro culturale e artistico: il Savannah Center for Contemporary Art in cui periodicamente ospita esibizioni ed eventi.
Al Red Clay nascono alcune delle opere dell’artista, mentre altre restano esposte in una esibizione permanente all’interno di spazi aperti e accessibili a tutti, in cui è possibile sedersi, discutere e incontrarsi.
Da un portone semiaperto su un grande hangar ecco spuntare una mastodontica catasta di oggetti: scatole da lustrascarpe, casse in legno, contenitori consunti dal tempo si affastellano uno sull’altro per metri e metri fino al soffitto, occupando tutta la sala. Si tratta di una delle opere più celebri dell’artista, già esposta in varie versioni nelle gallerie di mezzo mondo: Non orientable Nkansa. Ciascuno di questa miriade di oggetti racconta una storia, parla di fatica quotidiana, arte di arrangiarsi, creatività ma anche di sofferenza e sfruttamento. Flebili voci di gente semplice che si fanno un coro poderoso e commovente una volta unite insieme.
Mahama e i suoi collaboratori hanno raccolto negli anni questi oggetti dai proprietari molto spesso barattandoli con attrezzature simili ma più recenti, un approccio interessante che rende i proprietari originari degli oggetti parte attiva nell’opera e che è stato utilizzato anche per raccogliere i vecchi sacchi di cacao in juta con i quali l’artista ha ricoperto importanti edifici nel mondo, compresi i bastioni di Porta Venezia a Milano.
Queste opere sono state affiancate da molti critici alle operazioni simili di artisti come Christo, noto proprio per “impacchettare” importanti edifici, o altri esponenti della cosiddetta “arte povera” che erano soliti raccogliere ed assemblare oggetti di scarto o di uso comune. Eppure qui il discorso è estremamente differente: non si tratta solo di ricerca estetica o di forma, la denuncia sociale è concreta e si fa sentire. I sacchi di cacao logori e sporchi raccontano la storia dello sfruttamento globale delle risorse e della fatica quotidiana di torme di invisibili, così come le centinaia di pagine di registri contabili incollate una all’altra a formare enormi arazzi o gli stessi oggetti dei commercianti di strada.
Raccoglitori di cacao, lustrascarpe, venditrici e piccoli artigiani diventano i co-autori delle opere, è la loro storia che traspare da queste impressionanti raccolte di oggetti così simili e così diversi, resi straordinariamente affascinanti dalla patina del tempo e dell’usura.
Gruppi di muratori si affannano a tracciare nuove fondazioni, poco oltre mucchi di nuovi mattoni rossi aspettano di essere assemblati e messi uno sull’altro: il centro è in grande crescita e oltre a nuove sale espositive sono previste residenze per artisti, orti e vivai per la conservazione di piante tradizionali, una libreria e un cinema oltre che aule di formazione all’interno dei sei aerei.
Il sole è al tramonto, le case più vicine sono puntini luccicanti all’orizzonte, eppure il centro brulica ancora di persone: chi lavora, chi chiacchera, chi semplicemente guarda le nubi inscurirsi mentre i bambini ridono e giocano a rincorrersi. Non si vorrebbe più andare via di qui; qualcuno un tempo disse che “la bellezza salverà il mondo”; forse aveva ragione.