Il giovane Mohamed Youssef è diventato l’icona della rivoluzione sudanese contro la dittatura e il simbolo di una generazione assetata di libertà. In questa intervista, si confessa. «La notte in cui mi fotografarono in piazza c’era un’atmosfera strana, carica di tensione e di rabbia»
di Jacques Dumonde – foto di A. Shazly e Y. Chiba / Afp
Una sera d’estate Mohamed Youssef, 15 anni, uscì di casa ed entrò nella storia. Era il 19 giugno 2019, la capitale sudanese Khartoum ribolliva di caldo e di rabbia. Le strade si erano riempite di dimostranti. L’ex dittatore Omar al-Bashir era stato costretto a dimettersi l’11 aprile, dopo trent’anni di potere assoluto, in seguito alle proteste di piazza. Ma il regime militare era restio a concedere spazi di libertà e democrazia.
I manifestanti non avevano intenzione di arrendersi, benché il 3 giugno i soldati avessero sparato su un sit-in di protesta davanti al quartiere generale dell’esercito, uccidendo almeno 128 di loro. «Quella sera mi ero riproposto di unirmi ai dimostranti – ricorda Mohamed Youssef –. C’era un’atmosfera strana, tesa, carica di rabbia. Le forze di sicurezza presidiavano ogni via. C’era il coprifuoco e il black-out. I servizi internet erano stati tagliati. Temevamo che i militari potessero irrompere con la forza».
La luce dei cellulari rischiarava un poco la notte. La gente seduta si faceva coraggio intonando slogan rivoluzionari cadenzati dai tamburi. «A un certo punto presi coraggio, mi alzai in piedi tra la folla e con le lacrime agli occhi improvvisai un canto di lotta: “Mentre i tamburi suonano fino all’alba, scendiamo in strada… Non ci tireremo indietro, nessuno di noi piangerà”». In quell’istante il fotografo Yasuyoshi Chiba dell’agenzia Afp scattò la foto che lo avrebbe immortalato come icona della rivoluzione, simbolo del coraggio di una generazione assetata di libertà. Da quel momento Mohamed è diventato una star, gli amici lo chiamano muqatil, “il combattente”. Lo scatto ha vinto l’edizione 2020 del World Press Photo, il più prestigioso premio fotogiornalistico del mondo.
«Il riconoscimento mi ha fatto molto piacere, è un omaggio alla rivoluzione in Sudan – ha commentato il ragazzo all’Afp –. Ha portato sotto i riflettori dell’opinione pubblica mondiale il dramma del mio amato Paese, che ancora oggi attende giustizia e pace… I responsabili della sanguinosa repressione di questi anni a Khartoum e nel Darfur, che ha provocato migliaia di vittime innocenti, non sono ancora stati processati». Ad agosto i manifestanti hanno ottenuto l’istituzione di un governo di transizione che in tre anni dovrebbe portare a elezioni libere. Lo scorso febbraio Khartoum ha annunciato la disponibilità di consegnare Omar al-Bashir alla Corte penale internazionale dell’Aia.
Ma la pandemia ha bloccato tutto. E anche Mohamed Youssef è rimasto per settimane rinchiuso in casa. «Ne ho approfittato per studiare, voglio diventare ingegnere. Non vorrei passare alla storia solo per una foto».
(Jacques Dumonde – foto di A. Shazly e Y. Chiba / Afp)
Questo articolo è uscito sul numero 4/2020. Per acquistare una copia della rivista, clicca qui, o visita l’e-shop.