di Stefano Pancera
Per il 40° anniversario di Do They Know It’s Christmas, uscirà una nuova versione remixata che unisce le edizioni del 1984, 2004 e 2014, ma il progetto ha suscitato polemiche. Critiche storiche accusano il brano di perpetuare stereotipi dannosi sull’Africa come bisognosa di salvezza occidentale.
“A Natale porta pace e gioia in Africa: avranno una canzone di speranza per sopravvivere”. Ve lo ricordate? È uno dei refrain di “Do They Know It’s Christmas”. Per celebrare i 40 anni dalla prima versione della canzone, ideata nel 1984 da Bob Geldof, una nuova edizione dal titolo “Do They Know It’s Christmas – 2024 Ultimate Mix” sarà ora remixata per includere le esibizioni dell’originale insieme alle altre versioni del 2004 e del 2014 fondendo dunque insieme le voci di diverse generazioni (ad ogni giro di decade) in un unico insieme senza soluzione di continuità.
Sin dal 1984 “Do They Know It’s Christmas” è stato oggetto di polemiche, e così nel corso degli anni , a causa di quello che molti hanno definito il tema natalizio ricorrente del “salvatore bianco”. Il brano nella nuova versione – Do They Know It’s Christmas – 2024 Ultimate Mix”- sarà presentato in anteprima sulle piattaforme radio e di streaming il 25 novembre, e sarà anche pubblicato su CD e vinile il 29 novembre.
Ed Sheeran – tra le star presenti nel nuovo remix – ha fatto sapere dal suo Instagram di essere a dir poco seccato di non poter impedire l’uso della sua immagine nel nuovo progetto “Do They Know It’s Christmas – 2024 Ultimate Mix” (non ha diritti di autore sulla sua partecipazione nel video del 2014).
“Non mi è stato chiesto il permesso per questa nuova uscita di Band Aid 40 e se avessi avuto scelta, avrei rifiutato l’utilizzo della mia voce.” Sheeran dunque si allinea con le critiche secondo cui il brano sarebbe disumanizzante e dannoso per gli africani.
Sono infatti molti a concordare che l’“evento mediatico” di Geldof abbia plasmato negativamente la storia dell’Africa e di come il mondo la percepisce; sigillando una immagine obsoleta, distorta, offensiva e inaccettabile di un intero continente visto come un cestino dell’elemosina per la carestia e che ha bisogno degli occidentali bianchi per salvarsi.
Se l’iniziativa – pur tra mille polemiche- ebbe certamente il pregio di portare l’attenzione del mondo sulle devastanti carenze alimentari dell’Etiopia e senza dubbio ha salvato migliaia di persone dalla morte, di certo innescò la nascita di un’industria paternalistica la cui missione era quella di “salvare l’Africa”.
Purtroppo, i media perpetuano tutt’ora l’dea di una Africa assediata dalla dipendenza, perennemente afflitta da povertà, dai conflitti, da leader corrotti e malattie. Senza mai sfumature e contesti. Propagandando la convinzione che il denaro sia sempre la soluzione primaria.
L’Africa non è il mendicante del mondo e il presidente del Kenya William Ruto lo ha riassunto in modo appropriato proprio alla assemblea generale dell’Onu a New York il mese scorso quando ha detto: “Noi come Africa siamo venuti al mondo, non per chiedere elemosina, ma per lavorare con il resto della comunità globale”. Ecco perché riproporre il Live Aid in qualsiasi forma – dato l’era che rappresenta – è un’idea oltraggiosa.
18 secondi di toccante silenzio, in sottofondo solo il sibilo di un respiro tra le maschere, un corpo magrissimo, riverso su un materasso senza rete, portato via con struggente lentezza. Iniziava così il video nella versione del 2014. Vedremo il 25 novembre, dieci anni dopo, quali saranno le immagini scelte per raccontare l’Africa di oggi.