Se non cambierà la politica sui vaccini, gli africani saranno gli ultimi a liberarsi dall’incubo del coronavirus. Malgrado nel loro continente si sia registrato un numero di contagi inferiore che nel resto del mondo, la pandemia vi indugerà ancora a lungo, con conseguenze devastanti in vite umane e in contraccolpi socio-economici. E non basterà la beneficenza. Quello che sta avvenendo ricorda ciò che accadde vent’anni fa con l’Aids. Non dovremmo ignorare gli insegnamenti della storia. L’editoriale del direttore nel nuovo numero della Rivista Africa
di Marco Trovato
Gli africani saranno gli ultimi a liberarsi dall’incubo del coronavirus. Malgrado nel loro continente si sia registrato un numero di contagi inferiore che nel resto del mondo, la pandemia vi indugerà ancora a lungo, specie nelle regioni subsahariane, con conseguenze devastanti in vite umane e in contraccolpi socio-economici. «Il covid in Africa da pandemico potrebbe trasformarsi in endemico e rimanere con noi per molto tempo», avverte Githinji Gitahi, medico e amministratore delegato di Amref, uno dei massimi esperti in merito di sanità pubblica nel continente.
Il nord del mondo si è assicurato dosi di vaccino sufficienti a immunizzare più volte le proprie popolazioni. L’Africa, che ha un ridotto potere negoziale, è rimasta all’angolo. Per capirsi: il Sudafrica, il Paese più colpito dal covid-19 ma anche il più sviluppato della regione subsahariana, ha dovuto accettare di pagare i primi vaccini sviluppati da AstraZeneca quasi 2,5 volte di più che non i Paesi europei. «Prendere o lasciare»: è il ricatto di Big Pharma. Il Sudafrica, dopo una febbrile contrattazione con la casa farmaceutica, ha rinunciato al vaccino AstraZeneca – peraltro rivelatosi poco efficace sulla variante locale del virus – puntando (primo paese a farlo) sul vaccino monodose della Johnson & Johnson, testato con successo nel Paese.
Il prezzo del vaccino lo fa il mercato, secondo la ben nota legge della domanda e dell’offerta, e per ora la richiesta di vaccini è enormemente più grande della disponibilità. I prezzi scenderanno forse quando avremo maggiore varietà di approvvigionamento (al momento sono una settantina i vaccini in fase clinica, di cui 16 hanno raggiunto la fase finale dei test e 6 già in uso).
Nel frattempo le speranze dell’Africa sono riposte in Covax, un piano globale finanziato da grandi donatori (tra cui la Ue, la Cina, filantropi e fondazioni private) che mira a fornire due miliardi di dosi ai più poveri del pianeta entro il 2021, ossia agli abitanti di 92 Paesi a reddito medio-basso del sud del mondo che non possono permettersi di acquistarli.
I primi vaccini stanno arrivando. L’arcipelago delle Seychelles è stato il primo paese africano ad avviare la campagna vaccinale contro il Covid 19. Non solo. “Carlos Agostinho do Rosario, capo del governo mozambicano, era entusiasta l’altro giorno nell’annunciare le prime 200mila dosi di vaccino arrivate nel Paese”, fa presente don Dante Carraro, direttore del Cuamm. E così vale anche per il Ghana che ne ha già ricevute 600mila e il Senegal 200mila. “È l’inizio della speranza anche per il continente africano che, per avere una sufficiente copertura immunitaria, dovrebbe ricevere entro il 2021, almeno 1,3 miliardi di dosi vaccinali”.
- uone notizie perprotezione che dopo 28 giorni sale all’82 per cento.
Aiuti per i vaccini dovrebbero arrivare dalle potenze più sviluppate del G7 che di recente hanno promesso di sostenere, su proposta di Macron, la diffusione dei vaccini nelle nazione più povere. Anche se giovedì al Consiglio europeo che riunisce i 27 capi di Stato e di governo dei Paesi della Ue, il premier Mario Draghi, pur avendo espresso pieno sostegno a Covax, avrebbe sottolineato che non è questo il momento di fare donazioni.
Se i Paesi ricchi del mondo non vogliono interessarsi della sorte dei più poveri per questioni di umanità, dovrebbero farlo quantomeno per questioni di opportunismo: è ormai chiaro che sconfiggeremo la pandemia solo quando tutti si saranno liberati dal virus. Perché il virus non conosce confini.
E comunque la salute della popolazione più svantaggiata – più di un miliardo di persone solo in Africa – non dovrebbe dipendere dalla beneficenza e dalla generosità dei ricchi. Benché ci sia stato un contributo pubblico senza precedenti nello sviluppo dei vaccini, i Grandi della Terra non se la sentono di premere sulle società farmaceutiche detentrici dei brevetti (che danno il diritto esclusivo di sfruttare per vent’anni il proprio prodotto), limitandosi a chiedere sconti per sé: le leggi del mercato sono inviolabili e pazienza se i profitti costano milioni di vite umane.
Ma c’è chi non si arrende. Sudafrica e India hanno chiesto all’Organizzazione mondiale del commercio di sospendere i diritti di proprietà intellettuale su qualsiasi tecnologia, farmaco o vaccino contro il coronavirus almeno fino a che non sia raggiunta l’immunità globale di gruppo, che l’Oms stima al 70% della popolazione mondiale. L’appello è finora caduto nel vuoto. Una storia già vista. Quando il mondo era flagellato dall’aids, tre potenze emergenti – Sudafrica, India, Brasile – combatterono una battaglia epocale per la produzione e distribuzione degli antiretrovirali generici nei Paesi poveri.
L’obiettivo fu raggiunto nel 2001 con la Dichiarazione di Doha, che riconobbe il diritto dei governi di adottare tutte le misure necessarie per eliminare le barriere della proprietà intellettuale al fine di dare priorità alla salute pubblica e non agli interessi commerciali. Da allora, «i prezzi del trattamento scesero da 10.000 dollari, cifra insostenibile per tanti Paesi, a 150», ricorda Silvia Mancini, esperta di salute pubblica di Medici senza frontiere. «Si persero però dieci anni preziosi prima che le terapie per l’Hiv-aids raggiungessero il continente. E tante, troppe vite. Non possiamo ripetere l’errore».
(Marco Trovato)
Questo è l’editoriale del nuovo numero della Rivista Africa (marzo-aprile 2-2021). Per acquistare una copia della rivista o abbonarsi visita lo shop