di Raffaele Masto
Una terrazza illuminata all’ultimo piano di un condominio appena fuori Dakar diventa il luogo e il filo da cui prendono forma pensieri e immagini in grado di raccontarci da vicino l’Africa, con tutti i suoi colori, profumi e abitudini.
Andò così. Con un amico mi recai a trovare, in una località appena fuori Dakar, la famiglia di un ragazzo senegalese che vive in Italia. Ce lo aveva chiesto lui, gli faceva piacere che conoscessimo i suoi parenti e che portassimo loro un po’ di denaro, evitandogli così di inviarlo con Western Union pagando la costosa tangente per la spedizione.
Naturalmente fummo accolti con tutti gli onori e non ci fu verso di andare via prima di cena. Quella famiglia abitava all’ultimo piano di uno dei pochissimi condomini della zona, un edificio a tre piani. Per arrivare in cima ci impiegammo quasi un’ora, perché fummo presentati a tutti gli abitanti. O meglio: a tutti i membri delle famiglie allargate che abitavano nel palazzo. Finalmente giungemmo a destinazione e ci fecero accomodare in terrazza mentre il sole stava tramontando. Sotto di noi, in quel colore caldo e fascinoso che il sole del tramonto produce in Africa, il quartiere si apprestava a concludere la giornata in un’atmosfera languida, di quiete e tranquillità: i bimbi si attardavano agli ultimi giochi, giovani in bicicletta calcavano sui pedali salutando a destra e sinistra. Giovani donne recuperavano i figli scambiando le ultime chiacchiere, un meccanico abbandonava l’auto che stava riparando davanti all’officina, con il cofano aperto, gruppetti di ragazze si avviavano verso casa – sembravano su una passerella di moda –, in lontananza un muezzin chiamava i fedeli alla preghiera…
Intanto il fulmineo tramonto tropicale ci aveva condotto nel buio ancora incompleto della sera. Mentre venivamo intrattenuti dal capofamiglia, vidi i giovani della casa armeggiare sulla terrazza con fili e lampadine, mentre dalla cucina cominciava ad arrivare il profumo inconfondibile del ceebu jen, il tradizionale piatto senegalese di riso con verdure e pesce.
Improvvisamente arrivò la luce! La terrazza fu illuminata da alcune lampadine che rischiararono la nostra tavola dove entro breve sarebbe giunto il cibo. Già mi pregustavo quella cena, nella fresca brezza della sera, dopo una giornata di caldo afoso e appiccicoso. Mi venne un dubbio. Mi alzai e guardai nella tromba delle scale. Era come avevo sospettato: per portare la luce in terrazza era stato oscurato tutto il condominio.
Ebbi un moto di vergogna. Mi sentii il classico toubab che aveva bisogno di tutti i comfort – sempre –, e che non poteva rinunciare, neanche per una sera, alla comodità dell’energia elettrica, dell’acqua potabile corrente, del cibo con abbondanti, esagerate porzioni di proteine.
Stavo per esigere che smontassero quell’intreccio di fili e di prese, ma poi rinunciai. Li vedevo sereni, appagati, contenti di avere ospiti. Dai piani inferiori venivano le grida divertite di bimbi che giocavano e di adulti che chiacchieravano. Due donne, al lume di una lampada, si facevano le treccine.
Ecco l’Africa! Pensai a cosa sarebbe accaduto in uno dei nostri bellicosi condomini italiani, con la vocazione innata alla guerra civile.
Foto di John Wessels / Afp