Sul fenomeno dei sapeur, gli affiliati alle Sociétés des ambianceurs et des personnes élégantes, cultori dello stile e di un’eleganza sgargiante che riprende i classici occidentali e li rivisita sotto il segno del colore e dell’esagerazione, sono stati pubblicati vari libri fotografici, ambientati soprattutto a Brazzaville, dove la Sape nasce, intorno agli anni ‘50. Dalla capitale del Congo francese sbarcherà poi rapidamente nell’altro Congo, l’ex Zaire oggi Repubblica Democratica del Congo, e successivamente in Europa e negli Stati Uniti, come corollario della diaspora africana. Per le parigine Éditions Petite Égypte è uscito da pochi giorni un libro che ha la particolarità di essere stato scritto non da un osservatore esterno ma da un sapeur. Si intitola Ma vie dans la sape e l’autore è Séverin Mouyengo.
Nato a Pointe-Noire, figlio di un venditrice di pesce salato e di un impiegato statale, Mouyengo cresce nel quartiere popolare di Bakongo, a Brazzaville. Da lì osserva, incuriosito e affascinato, i defilée dei membri della Sape. Nel volume racconta come abbia fatto, a 15 anni, a entrare nell’ambiente; le sue storie d’amore; il tentativo di raggiungere Parigi, la capitale della moda, nascosto nella stiva di una nave, in dolcevita, scarpe da “vagabondo” e pantaloni di lana vergine; la fuga rocambolesca, durante la guerra civile, che lo costringe a seppellire il suo tesoro: 203 completi da uomo di di grandi etichette, 30 di marchi meno costosi, 302 camicie, 25 paia di scarpe di cui sei di J.M. Weston, bretelle, un numero imprecisato e tendente all’infinito di cravatte di seta, gioielli e orologi… Quando andrà a disotterrarlo, più di un anno dopo, lo troverà interamente ammuffito.
A 62 anni Séverin Mouyengo continua a curare con zelo e allegria i suoi outfit. La Sape, dice, è una sorta di “religione del tessuto”. Un sapeur “è qualcuno che, con poche risorse, sorprende lo spettatore”. Per i membri di questa società, tanto selezionata quanto ritualizzata, è imperativo essere sempre “belli” e prendersi cura del proprio abbigliamento. Manuel Charpy, lo storico della moda che ha aiutato Mouyengo a scrivere le sue memorie, osserva come dietro questa rivisitazione sgargiante dello stile occidentale ci fosse la voglia di reagire alle imposizioni coloniali, di reinterpretare in modo originale un’estetica allogena e pervasiva.
La Sape, come sostiene lo scrittore franco-congolese Alain Mabanckou è, in una certa misura, l’antitesi della bellezza tradizionale africana. Ma è anche l’espressione di una doppia resistenza: prima vero il colonizzatore, poi verso la pretesa dei governi, finalmente indipendenti, di imporre rigidi codici di abbigliamento anticoloniali. A Kinshasa Mobuto metterà fuori legge il classico abito occidentale. A Brazzaville, in assenza di divieti espliciti, la Sape entrerà comunque in una fase di semiclandestinità. Nel frattempo però, a Parigi e Bruxelles, esponenti della diaspora, le daranno una nuova prospettiva e un’apertura internazionale. Le grandi case di moda li notano e avviano collaborazioni. Parliamo di brand come Daniel Hechter, J.M. Weston, Kansai Yamamoto. E di Yamamoto, venuto a mancare a luglio del 2020, Mouyengo era diventato amico e consulente. Tanto da comparire insieme a lui in un servizio dell’edizione giapponese della testata maschile Gq nel 2016.
(Stefania Ragusa)