Aiuti, accordi commerciali, relazioni diplomatiche, presenza militare, interventi nelle aree di crisi: come cambierà la politica estera degli Usa nei confronti dell’Africa, con la guida di Joe Biden? Chi si aspetta un cambio di passo da parte del nuovo inquilino della Casa Bianca forse rimarrà deluso. Di sicuro la strategia americana verso il continente non subirà scossoni significativi, rimanendo nel solco delle decisioni prese negli ultimi vent’anni da presidenti di segno opposto. Ma ci saranno importanti elementi di discontinuità…
di Angelo Ravasi
La politica Usa verso l’Africa non cambierà radicalmente, ma potrebbero arrivare nuovi segni di attenzione. Ci si aspetta che Biden rimanga nel solco dei suoi predecessori, ma con un approccio, rispetto a Donald Trump, molto diverso. Non più “America first”, ma l’Africa potrà beneficiare di una rinnovata adesione dell’amministrazione americana ai principi del multilateralismo, dal clima alla salute, dal commercio al peacekeeping. E i primi atti di Biden, nel giorno del suo insediamento, sono lì a dimostrarlo. Un approccio più collaborativo nell’ambito delle istituzioni internazionali sarà fondamentale, così come il sostegno all’area di libero scambio africana, che rappresenta un mercato molto vasto. In questo contesto l’African Growth and Opportunity Act (Agoa), voluto da Clinton, rafforzato da Bush, prorogato da Obama nel 2015 per ulteriori 10 anni e mantenuto da Trump, che consente alle merci africane di accedere liberamente ai mercati americani, potrà essere rafforzato proprio nella prospettiva dell’aria di libero scambio.
Anche il ritorno di Washington nell’Organizzazione mondiale della sanità è un atto significativo, anche perché gli Stati Uniti aderiscono a Covax, il dispositivo delle Nazioni Unite per la distribuzione di vaccini anti-Covid ai paesi meno privilegiati, anche se il “nazionalismo vaccinale dei paesi ricchi ha finora impedito che funzioni efficacemente, come dimostra l’incredibile situazione del Sudafrica, costretta a pagare un’enormità i vaccini. L’arrivo degli Usa dovrebbe tradursi in un nuovo contributo finanziario.
A Biden, poi, si chiede un cambio di passo nelle relazioni con Russia e Cina in Africa. Fino ad ora sono state caratterizzate da uno scontro frontale poco produttivo, soprattutto per il continente, teso a conquistare fette di mercato a scapito dei due contendenti. Come è noto la Cina è molto presente e forte in Africa, la Russia si è conquistata spazi andando in soccorso di presidenti in bilico o tesi a mantenere il loro potere, offrendo soprattutto un apporto militare, in termini di uomini, armi e addestramento, consapevole di non poter fronteggiare Pechino sul piano commerciale. Spesso, tuttavia, non mettendo direttamente gli scarponi sul terreno, ma operando attraverso truppe di mercenari, i noti Wagner. Un escamotage voluto da Putin se le cose non fossero andate come avrebbero dovuto, così da poter negare un intervento diretto russo.
Da Biden ci si aspetta un confronto meno conflittuale, quasi collaborativo, non certo debole nel perseguire l’obbiettivo della ricerca di una supremazia commerciale già, per altro, ben radicata, nonostante un indebolimento dei rapporti economici con alcuni stati. Gli Stati Uniti continuano ad essere centrali negli aiuti allo sviluppo, restando il primo donatore in Africa. I tentativi dell’amministrazione Trump di ridurre questi aiuti si sono scontrati, sempre, con il Congresso che li ha rimandati al mittente.
Altro tema, delicato, è quello delle relazioni diplomatiche con alcuni Stati che, proprio di recente, hanno avuto una svolta, per alcuni versi positiva, per altri assomigliava a un vero e proprio ricatto. Significativo, dunque positivo, il fatto che il Sudan, ora che la dittatura di al-Baschir sembra essere un ricordo lontano, sia stato cancellato dalla lista degli stati canaglia, fiancheggiatori e protettori del terrorismo internazionale. Un fatto significato che riapre le relazioni diplomatiche ma, soprattutto, quelle economiche di cui il Sudan ha profondamente bisogno. Ma anche in Sudan l’amministrazione americana dovrà scontrarsi o collaborare, lo vedremo quale via prevarrà, con la presenza cinese. Nel Paese non si muove foglia che Pechino non voglia. E poi il ricatto. L’adesione di Khartoum agli Accordi di Abramo, fortemente voluti da Trump, per molti analisti rappresentano una condizionalità per accedere agli aiuti e, inoltre, l’opinione pubblica non è così allineata al governo che ha avviato relazioni diplomatiche con Israele.
E poi c’è il Marocco, anch’esso ha aderito agli Accordi di Abramo, ma ha “costretto” gli Stati Uniti a riconoscere la sovranità marocchina sui territori contesi del Sahara Occidentale. Le reazioni internazionali sono state piccate di fronte a questa decisione di Trump. Persino la piccola Svizzera ha stigmatizzato l’episodio. Tutto ciò è in aperta violazione della legalità internazionale. Fatto che ha riacceso, e non poteva essere diversamente, la conflittualità in quell’area. E anche l’apertura di un consolato americano a Dakhla, il grande porto del Sahara Occidentale, è uno schiaffo agli sforzi internazionali per arrivare a una soluzione duratura del conflitto. Biden si occuperà di questa vicenda spinosa? L’interrogativo è tutto aperto.
La Libia per gli Usa rimane una questione irrisolta. Il primo a non trovare beneficio, se non appoggio, dal cambio di amministrazione americana, potrebbero essere Khalifa Haftar, ben visto dal predecessore di Biden. Se Trump, poi, ha chiuso un occhio di fronte all’intervento militare della Turchia, in sostegno a Tripoli, oggi pare scontato che Washington non consentirà al presidente turco Recep Erdogan di mettere a rischio la sicurezza e la pace internazionale. Qui, è prevedibile, che un cambio di passo ci sarà.
Infine, l’impegno militare. L’amministrazione sta gradualmente riducendo la sua presenza in gran parte del continente, in particolare nel Sahel e nel Corno d’Africa, in funzione antiterrorismo e a difesa della sicurezza degli Stati Uniti. Il disimpegno in Somalia, roccaforte dei jihadisti di al Shabaab, è ormai cosa fatta. Ma anche nel Sahel l’intenzione di Washington è quella di ridimensionare la presenza militare per concentrarla in altre aeree del molto considerate strategicamente più rilevanti e dove la presenza di Mosca sembra non essere più sopportabile. Attualmente, tuttavia, la missione Africom è forte di circa 6000 uomini. I tagli non sono stati radicali e gli Usa, comunque, possono contare ancora su una capillare rete di basi permanenti e temporanee.
La novità, rispetto all’amministrazione Trump, dunque è un Biden che farà dell’approccio multilaterale il suo faro. Vedremo cosa cambierà, e se in meglio, per il continente africano.
(Angelo Ravasi)