Victoria Oluboyo: «Le italiane possono scegliere, le vittime straniere della tratta no»

di claudia

Il report sul traffico globale degli esseri umani delle Nazioni Unite (2020) afferma che la più diffusa forma di sfruttamento umano sia quella della prostituzione, con donne, ragazze e bambine principali bersagli dei trafficanti (65% del totale delle vittime). Il fenomeno della tratta è una piaga che non risparmia alcuna area geografica. Oggi nel nostro Paese le vittime di tratta sono 2033, di cui 163 minori e l’86% di sesso femminile. L’attivista italiana di origini nigeriane Victoria Oluboyo ci spiega perché è così difficile parlarne in Italia. Anche per alcune femministe.

di Michela Fantozzi

Seconda per introiti solo al narcotraffico e al commercio d’armi, la tratta degli esseri umani non risparmia alcuna area geografica del pianeta. Il report sul traffico globale degli esseri umani delle Nazioni Unite (2020) afferma che la più diffusa forma di sfruttamento umano sia quella della prostituzione, con donne, ragazze e bambine principali bersagli dei trafficanti (65% del totale delle vittime). Per le Nazioni Unite, le cause che oggi alimentano la tratta sono la criminalizzazione delle migrazioni dagli stati più poveri a quelli più ricchi e il deterioramento dei diritti dei lavoratori ovunque, a seguito dell’adozione di politiche del lavoro di stampo liberale.

La situazione italiana

In Italia, secondo il report 2020 della polizia di Stato, il traffico è condotto principalmente da nigeriani, romeni e, al terzo posto, italiani, interessati per lo più nello sfruttamento di migranti irregolari nel settore agricolo. Stando ai dati raccolti da Save the Children, la pandemia ha aggravato le forme di tratta e sfruttamento poiché lo sfruttamento sessuale è passato dalla strada all’indoor, rendendo difficile il raggiungimento delle vittime.

Oggi nel nostro Paese le vittime di tratta in carico sono 2033, di cui 163 minori e l’86% di sesso femminile. Facciamo il punto della situazione con Victoria Oluboyo, attivista antirazzista e femminista con un’esperienza decennale nell’associazione Progetto oltre la strada di aiuto alle donne vittime di tratta a Parma.

Come si è avvicinata al fenomeno della tratta?

 «Avevo sedici anni quando ho incontrato una ragazzina della mia stessa età che era costretta a prostituirsi. Quando ho cercato di fare amicizia con lei e le ho chiesto che scuola facesse, mi era sembrato pazzesco sentire che non ci andava. Poi si è aperta e mi ha raccontato che era una prostituta. Ci sono rimasta malissimo. Mi sono chiesta cosa potessi fare e così ho cominciato a fare volontariato per un’associazione di Parma che si occupa di aiuto alle vittime di tratta».

Come funziona il sistema di individuazione, presa in carico e riabilitazione delle vittime di tratta in Italia?

 «Attualmente si riesce a fornire un aiuto concreto alle donne nella tratta solo se sul territorio sono presenti sistemi per assisterle. Per esempio, a Parma c’è il Progetto oltre la strada, i cui operatori e operatrici vanno per le strade per individuare le vittime. Dopo l’individuazione si crea un primo contatto con la ragazza per guadagnarsi la sua fiducia. In seguito, la si invita presso la sede del Progetto dove si organizza un colloquio per conoscerla. Dopodiché si inizia un percorso di autocoscienza e autoliberazione. Come membro del coordinamento dell’associazione, la cosa più bella è vedere come queste donne riescono a riprendere in mano la loro vita».

Dopo il colloquio che cosa succede?

È necessario un percorso di supporto psicologico perché, dopo essere state trattate come macchine da soldi per tanti anni, c’è bisogno di sentirsi di nuovo umane. A volte, le donne che fin da giovanissime sono state costrette alla prostituzione si convincono di non poter fare altro. Questo non è assolutamente vero. Ci tengo a precisare che condannare la tratta non vuol dire biasimare le donne che esercitano la prostituzione: vuol dire condannare la coercizione che subiscono le vittime della tratta. A loro bisogna dare gli strumenti per uscire dalla prostituzione forzata e riuscire a fare la propria vita

Cosa ne pensa della strategia Ue dell’esternalizzazione delle frontiere nei confronti del traffico di esseri umani? Ossia la pratica di finanziare centri d’aiuto alle donne nei Paesi di origine, come la Nigeria, per negare l’asilo alle vittime di tratta straniere in Italia.

 «Questi investimenti non possono sopperire alla domanda ed aiutare concretamente ogni singola donna nel territorio di partenza. Quante donne possono accogliere questi centri? Dove sono? Sono a nord o sud? Sono tutti in centro città? Sono raggiungibili da donne e bambine? Tutte queste domande sono da considerare per valutare l’efficacia di tali accordi, ma non si può considerare il fenomeno della tratta risolto per queste iniziative nel luogo d’origine».

 In Italia è illegale prostituirsi?

«No, oggi una donna in Italia si può prostituire, ma non può creare un’associazione di donne che si prostituiscono. Questo perché è molto difficile capire se un’associazione dietro una prostituta sia criminale o no. Io non so quale sia la scelta giusta da fare, ma credo sia necessario fare uno studio serio sulla domanda, quindi sui clienti delle prostitute per capire che cosa li muove (secondo l’ultimo dato Codacons del 2017, sono 3 milioni gli uomini italiani che comprano prestazioni sessuali). La normativa non può prescindere dal comportamento della domanda.

Si sente spesso parlare della riapertura delle case chiuse.

«Molti pensano che sia necessario tornare alle case chiuse ma non si risolverebbe nulla, anzi, credo sarebbe come legalizzare una schiavitù moderna. Paesi come la Germania e l’Olanda che hanno una regolamentazione della prostituzione, vengono denunciati continuamente per la presenza di tratta e coercizione. Il punto principale è quello di cui non bisogna mai scordarsi è vedere come stanno realmente queste donne».

 Secondo lei, perché è così difficile parlare di tratta in Italia?

«Non si può parlare di tratta senza parlare di normativa e non si può parlare di normativa senza scontrarsi con quella branca del femminismo che parla di autodeterminazione dei corpi. Non riescono a vedere che all’interno del sex working c’è un problema, che è la tratta. Se una donna oggi decide di fare sex working liberamente, ben venga, per quanto mi riguarda. Nel momento in cui però si instaura una situazione di tratta in cui ci sono ragazze obbligate ad andare costantemente con chiunque allora c’è una situazione d’emergenza che richiede la massima attenzione. E vedo che quando fai notare questi aspetti, alcuni reagiscono con aggressività. Ci sono femministe che si sentono minacciate dalla presa di parola delle vittime. Perché è brutto dirlo, però il sostegno del concetto del “sex work is work” viene principalmente promosso da donne bianche».

 Che cosa intende?

«Penso che le donne occidentali abbiano una certa concezione della prostituzione, mentre le donne che sono vittime di tratta sono solo straniere, a volte transgender, magari anche dentro centri di benessere, ma tutte marginalizzate. Perché le straniere vengono qua o vengono portate qua per essere sfruttate da un sistema fortemente capitalistico».

Per le donne italiane è diverso?

Le donne italiane hanno il privilegio di scegliere se farlo o no. Le altre non possono scegliere. Noi come attiviste nere siamo pronte a parlare e combattere anche per le battaglie delle sex worker, però quando serve che qualcuno parli con noi fondamentalmente non c’è nessuno. Mi sono anche stancata di questi dibattiti che ostentano la libera scelta di chi ce l’ha

Perché è più facile sfruttare una donna nera, una asiatica o una donna transessuale?

«Perché sono senza tutele. Vivranno sempre sotto ricatto di un passaporto, di un permesso di soggiorno, di qualcosa. Faranno tutto ciò che è loro possibile per salvare sé stesse e anche la posizione politica che hanno sul territorio, cosa che alle italiane non interessa. Anche questo aspetto della prostituzione va inserito all’interno del dibattito pubblico. C’è anche da dire che la tratta non è l’unico fattore che porta una donna sulla strada, ci sono anche donne povere italiane o donne transessuali alle quali la vita non ha dato un’alternativa rispetto alla prostituzione. È importante capire anche le ragioni che portano queste categorie di persone a prostituirsi».

Perché, secondo lei, c’è così tanta resistenza da una parte del femminismo nel dialogare con le ex vittime di tratta?

Perché non conviene loro parlarne, dato che vogliono la regolamentazione. Si parla di ciò che va a vantaggio di chi vorrebbe la riapertura delle case chiuse, senza però adottare un punto di vista più ampio che coinvolga tutte le donne, non solo alcune

Quali saranno gli sviluppi della lotta alla tratta in Italia?

«Io ho una visione pessimista. Negli ultimi anni ci sono stati dei partiti politici che hanno rilanciato la proposta della regolamentazione della prostituzione. Io credo che se dovesse andare a governo il centrodestra potrebbero anche porre le basi per una nuova normativa sulle case chiuse. Tutelate saranno solo le sex worker bianche e italiane. Le altre non avranno possibilità di scampo»

(Michela Fantozzi – NuoveRadici.world)

Condividi

Altre letture correlate: