Lottano contro il tempo e con pochi mezzi per domare gli incendi, si buttano tra le fiamme con coraggio per tentare di salvare vite umane. Ma vengono ricompensati da una pioggia di insulti e di sassi. L’amaro destino di Owen e dei suoi colleghi.
Suona l’allarme nella malmessa caserma dei vigili del fuco di Kabwe, una cittadina di circa 240.000 abitanti nel centro dello Zambia. I pompieri scattano verso i vecchi armadietti per indossare le tute ignifughe e gli scarponi. «Abbiamo tre minuti per uscire in strada! Ci sono case in fiamme nel quartiere Kabudula!», urla all’altoparlante il giovane Evas dalla sala di controllo. In poco tempo sono tutti sull’autobotte che percorre a sirene spiegate le strade cittadine fino al sobborgo dove una folla riunita attorno a due piccole abitazioni, cerca di domare il fuoco con secchi e taniche di plastica.
I firefighters allontanano la gente e accendono i potenti idranti. In pochi minuti è tutto finito. Non ci sono state vittime, ma le case di mattoni, legno e lamiera frutto di una vita di sacrifici sono ormai un cumulo di macerie. «Siete arrivati tardi come al solito…», si sente mugugnare fra la folla. Poi un urlo: «Venite pagati per dormire! Non si può fare affidamento su di voi».
L’ex bambino di strada
I pompieri abbassano lo sguardo e non rispondono alle provocazioni. Sistemano l’attrezzatura e ripartono. D’un tratto si sentono colpi sulla lamiera dell’autopompa. «Sono sassi… Spesso veniamo colpevolizzati. Ma l’incendio era a 10 chilometri dalla centrale in un quartiere con strade dissestate e loro non avevano il numero di telefono d’emergenza. Sono venuti a chiamare aiuto correndo», spiega rassegnato il 28enne Owen Mulenga, che oggi è caposquadra.
Owen è diventato vigile del fuoco cinque anni fa dopo aver partecipato a un concorso pubblico. «Sono nato in una famiglia difficile e per qualche anno ho fatto il ragazzo di strada. Vivevo di espedienti e sopravvivevo a stento». Salvato dalla strada, racconta di aver intrapreso la carriera da pompiere leggendo un annuncio mentre vendeva spezie negli uffici della capitale zambiana. «Quando scoprii che mi avevano selezionato, non potevo crederci! Ho trovato ciò che cercavo. Conosco la vita di strada e sono stato vicino alla morte. Posso salvare gli altri come è stato fatto con me». Come i suoi colleghi, spiega che questo mestiere è una vocazione per cui bisogna avere coraggio e altruismo. Ma fare il vigile del fuoco in Zambia, come in tutta l’Africa, non è affatto banale. Gli incendi nei sovrappopolati quartieri cittadini sono all’ordine del giorno. Basta un fornello acceso, o un cortocircuito causato da collegamenti elettrici improvvisati, per appiccare il fuoco.
Senza mezzi
Le difficoltà di bilancio sono alla base di tutti i problemi. I pompieri zambiani mancano di mezzi e di equipaggiamento adeguati. Nella stazione di Kabwe, al momento il numero verde 993 è fuori uso e vengono utilizzati due semplici cellulari tenuti sempre sotto carica nella sala di controllo e il cui numero è stato distribuito fra la gente con il passaparola. Le tute ignifughe sono contate e di seconda o terza mano, e per gli scarponi antiacido bisogna fare a turno. «Questa arriva dagli Usa, gli scarponi dalla Cina», afferma Owen mostrando la scritta dietro una giacca appesa al muro. Nei frequentissimi incidenti stradali della zona intervengono a mani nude per estrarre le vittime dalle lamiere e fino a non molto tempo fa di notte usavano le luci dei cellulari come illuminazione.
Anche il personale è insufficiente, in particolare quello specializzato per le operazioni di soccorso. Owen indica il collega 26enne Brian Cheembo. È l’unico sommozzatore del gruppo, o meglio, l’unico in grado di nuotare e immergersi. Nel Paese esistono solo altri 25 pompieri addestrati come lui. «Sembrerà una cosa banale, ma una delle emergenze più frequenti che abbiamo da queste parti sono gli annegamenti, perché quasi nessuno sa nuotare», spiega Owen, senza contare che la centrale di Kabwe non possede né mute né attrezzatura subacquea.
Colpa dei politici
Con soli 7-8 pompieri in servizio per turno, la centrale di Kabwe copre una zona ampia circa 30 chilometri di raggio. Senza sottostazioni disponibili, l’autopompa è costretta a tornare indietro fino alla centrale per rifornirsi d’acqua se l’incendio lo richiede. «A fine 2016 il governo ha acquistato ben 42 nuove autobotti, due delle quali sono state assegnate a Kabwe. Questi due mezzi hanno migliorato molto il nostro lavoro – afferma Owen –. Tuttavia lo scandalo scoppiato per colpa dell’acquisto ha alimentato l’acredine della popolazione nei nostri confronti».
Owen si riferisce al clamore suscitato dalle rivelazioni secondo cui i mezzi sarebbero stati acquistati con fondi pubblici al prezzo gonfiato di un milione di dollari l’uno e sarebbero oggetto di un caso di corruzione. Le proteste che ne sono scaturite hanno portato all’arresto di cinque attivisti che stanno ora affrontando un processo denominato dalla stampa “42-for-42”. Yona Mwale, comandante della FireBrigade di Kabwe, spiega che ciò che prima era un risentimento sporadico dovuto all’ignoranza «ora è diffuso e frequente», tanto che in alcune occasioni a Lusaka e a Kabwe i pompieri hanno richiesto la scorta della polizia. «A prescindere dalle ruberie dei politici, l’arrivo dei mezzi è stato decisivo per la sicurezza pubblica. Noi non c’entriamo nulla, ma anche se ora ci tirano le pietre non abbandoneremo la comunità. Non possiamo insegnare come trattarci, ma solo come spegnere ed evitare un incendio».
Eroe silenzioso
Eppure il corpo dei vigili del fuoco dello Zambia ha una grande storia. La Centrale di Lusaka, fondata nel 1959, fu la prima nel Paese e in tutta la regione. Proprio qui venivano addestrate le reclute di tutte le colonie britanniche limitrofe. Dopo la decolonizzazione la popolazione delle città è aumentata, mentre il malgoverno e decadi di recessione economica hanno portato a tagli nei servizi pubblici. Come risultato, la capitale zambiana, con una popolazione di circa 2,5 milioni di abitanti, è servita da una sola centrale senza sottostazioni, quando Parigi, che ha una popolazione simile, è coperta da più di 80 centrali. Non può stupire che Kabwe e la sua provincia, nella regione centrale della Copperbelt, vivano grossi disagi. Se la reputazione dei pompieri zambiani non è più quella di una volta presso l’opinione pubblica, di sicuro il rispetto per il loro lavoro e i rischi che corrono non manca tra i loro famigliari. «È un eroe silenzioso e a noi sta bene così», dichiara la moglie di Owen, Ennie, mentre tiene in braccio una delle loro figlie. «Anche se le persone ora non apprezzano il suo loro ruolo, prima o poi capiranno».
(testo e foto di Marco Simoncelli)