di Andrea Spinelli Barrile
Venerdì scorso l’imponente palazzo del Rotten row magistrates, il Tribunale penale di Harare, in Zimbabwe, un edificio alto e circolare che si impone come un colosso sul centro cittadino, ha visto sfilare quattro attivisti per i diritti umani, Vusumuzi Moyo, Namatai Kwekweza, Samuel Gwenzi e Robson Chere, scortati dalla polizia. Poche ore prima, lo Zimbabwe Lawyers for Human Rights, un’associazione di avvocati zimbabwana che si batte per la tutela dei diritti umani, aveva diffuso delle foto che mostravano lividi, ferite e sangue sui loro corpi.
I quattro sono accusati di “condotta disordinata” per aver organizzato una protesta e manifestato contro l’arresto e la detenzione di altri 79 attivisti e sostenitori dell’opposizione, in carcere dalla fine di giugno perché accusati di avere organizzato una manifestazione illegale. Al centro c’è il vertice della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (Sadc), che tra un paio di settimane, questo agosto, si terrà proprio ad Harare: in una conferenza stampa del 1 agosto, il ministro degli Affari interni dello Zimbabwe, Kazembe Kazembe, ha detto che il governo locale è al corrente di tentativi volti a interrompere il vertice e aggiunto che il governo non consentirà assembramenti illegali prima e durante lo stesso vertice: “Gli organizzatori cercano di provocare una risposta dura da parte del governo, che presumono attirerebbe l’attenzione globale e metterebbe lo Zimbabwe sotto i riflettori. Abbiamo già vissuto episodi simili e siamo preparati”, ha detto Kazembe.
Al termine dell’udienza di venerdì scorso, i quattro attivisti arrestati hanno presentato domanda di rilascio su cauzione e chiesto di essere scarcerati, affermando di essere stati torturati. Le circostanze del loro arresto sono inquietanti e le ha raccontate sulla sua pagina X il giornalista Hopewell Chin’ono, per due volte “giornalista africano dell’anno” per la rivista Time: gli attivisti infatti sarebbero stati “rapiti dai servizi segreti criminali” dello Zimbabwe mentre si trovavano a bordo di un aereo sulla pista dell’aeroporto Robert Mugabe di Harare, in attesa di decollare. Sarebbero stati fermati a bordo e fatti scendere da uomini della sicurezza, detenuti in aeroporto per 8-10 ore, dove sono stati picchiati e tenuti isolati gli uni dagli altri.
Secondo Chin’ono, il caso di Namatai Kwekweza, che in Zimbabwe è una personalità molto nota, è emblematico: i crimini per cui è accusata si riferiscono a un periodo durante il quale lei si sarebbe trovata in Sudafrica, cosa confermata da diversi testimoni, e il suo arresto secondo Chin’ono rivela la natura repressiva del governo dello Zimbabwe: “Lo Zimbabwe ha un presidente dalla mente criminale che ha saccheggiato i fondi pubblici e depredato le risorse naturali del Paese senza pietà. Ogni volta che viene sfidato, rapisce, tortura, arresta e imprigiona coloro che si oppongono alla sua criminalità” ha scritto il giornalista su X. In effetti, riferisce l’organizzazione Crime watch Zimbabwe, Belskye Travel, l’agenzia di viaggi che ha emesso il biglietto aereo di Namatai Kwekweza a giugno, ha confermato con una email che tra il 25 e il 28 giugno l’attivista, di cui circolano fotografie in cui è vestita come una detenuta e guarda in camera con il volto livido e lo sguardo spento, si trovava in Sudafrica: “È chiaro che non avrebbe potuto commettere un crimine in Zimbabwe il 27 giugno” afferma l’organizzazione.
Oltre a Kwekweza, gli altri arrestati sono anch’essi attivisti molto noti. Robson Chere è attivista e segretario generale dell’Amalgamated rural teachers union (Artuz), una voce incrollabile a favore del miglioramento delle condizioni di lavoro e degli stipendi degli insegnanti zimbabwani. Samuel Gwenzi è un consigliere della quinta circoscrizione al consiglio comunale di Harare, eletto con il partito Consiglio dei patrioti per il cambiamento (Cpc), all’opposizione. “Attivisti per i diritti umani, sindacalisti, leader studenteschi e membri dell’opposizione democratica sono presi di mira. La lotta è iniziata, è patria o morte! #ZanuPFMustGo” ha scritto sui suoi social l’ex parlamentare Ostallos Siziba.
“Chiedo senza riserve il rilascio immediato di tutti e quattro gli attivisti detenuti e un’indagine sulle accuse di maltrattamenti a cui sono stati sottoposti durante la custodia” ha dichiarato a Voa Africa Mary Lawlor, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani. Tra gli arrestati a giugno ci sarebbe persino un bambino di appena un anno, attualmente nel carcere centrale di Harare insieme alla madre, arrestata a casa di Jameson Timba, un membro anziano del partito di opposizione Consiglio dei cittadini per il cambiamento