Il ritardo della stagione delle piogge in vaste regioni dello Zimbabwe ha messo in serio pericolo gli animali selvatici che vivono in parchi e aree di conservazione. A centinaia sono morti per mancanza d’acqua e di cibo. E molti altri sono minacciati da micidiali malattie favorite dalle dure e inedite condizioni climatiche. Il reportage dal nostro corrispondente…
Testo e foto di Gianni Bauce
È ormai notte qui nel parco nazionale di Hwange, in Zimbabwe: il canto lugubre del caprimulgo riecheggia nell’oscurità e, lontano, si ode il latrato di uno sciacallo. Un fulmine illumina d’un tratto il cielo a settentrione, poi si ode un brontolio lontano: forse, finalmente, stanotte pioverà. Ma la pioggia non arriva nemmeno questa notte; forse da qualche parte a nord un breve piovasco ha dato un illusorio sollievo alla terra, ma non qui, dove il grigio fango rinsecchito della pozza testimonia la prolungata siccità che continua ad attanagliare il Paese.
STRAGE DI ELEFANTI
L’acqua è vita e quando viene a mancare, la vita viene messa a durissima prova: dopo due anni di piogge scarse, lo Zimbabwe si trova, al termine della stagione secca del 2019, a dover affrontare l’ennesima siccità e alla fine del mese di ottobre del 2019, ancora non si vedono le vere piogge. Ha piovuto copiosamente a Bulawayo, ma percorrendo la strada che porta a nord, verso Victoria Falls, la situazione è ben diversa. Lungo le piste del parco di Hwange le carcasse di elefanti morti giacciono a centinaia nei pressi delle pozze d’acqua residue, spesso ridotte ormai a fanghiglia: sciacalli, iene e avvoltoi banchettano lasciando esposte le macabre ossa che erano un tempo appartenute ai maestosi animali. Gli elefanti in cerca d’acqua percorrono centinaia di chilometri, molti di loro arrivano dal vicino Botswana, dove la situazione è peggiore e quando raggiungono le pozze artificiali del parco in Zimbabwe, bevono fino a collassare. Molti non arrivano all’acqua e muoiono lungo la strada. Un pachiderma giace ad un centinaio di metri dalla pozza, privo di vita, il suo cuore ha ceduto all’improvviso e lo si deduce dalla posizione del cadavere: sembra accucciato con la mascella inferiore appoggiata al terreno e la proboscide ripiegata sul torace, come se tutte e quattro le zampe avessero ceduto all’improvviso ed il gigante fosse crollato per sempre. Spesso si vedono piccoli giovanissimi vagare da soli intorno alle pozze, con aria smarrita: sono gli orfani delle madri che non sono sopravvissute alla siccità, cuccioli di elefante il cui destino è già segnato. I leoni presto si occuperanno di loro e come per confermare questa ipotesi, oltre l’enorme termitaio, ecco un branco di leonesse con i cuccioli, imbrattati di sangue che banchettano intorno ai resti di un piccolo elefante. Quando il sole è già basso sull’orizzonte scorgiamo la figura possente di un leone maschio sdraiato sull’orlo di una pozza; accanto a lui il cadavere di un elefantino la cui madre era morta alcuni giorni prima. Per due giorni il piccolo si è recato alla pozza per bere e ciò non è sfuggito al grande predatore.
FUOCHI CONTRO LE INFEZIONI
Più a nord, si incontrano spesso carcasse carbonizzate di pachidermi; a pochi metri dalla pozza di Deteema, una femmina di elefante giace inerme sul terreno, coperta di avvoltoi. Nel pomeriggio, una pattuglia di ranger giunge sul posto a bordo di una Land Rover; un paio di loro, indossando camici e guanti di lattice iniziano ad operare sulla carcassa, prelevando campioni. Poco dopo sopraggiunge una ruspa che preleva la carcassa e la trasporta lontano. Quando cala il buio della notte, in lontananza si scorgono le fiamme del falò che consuma i resti dello sfortunato animale. Qual è lo scopo di queste pire funebri? Ebbene, si dice che i guai non arrivino mai da soli e anche in questo caso, la prolungata siccità porta con sé innumerevoli problematiche che affliggono la vita nella boscaglia. L’antrace (o carbonchio) è un’infezione batterica portata dal Bacillus anthracis che può contaminare gli erbivori selvatici e domestici ed in alcuni casi anche l’uomo. Il pericolo che questa infezione letale si diffonda tra bufali, ippopotami, antilopi ed elefanti è molto elevato durante i periodi di siccità e le autorità dello Zimbabwe Parks And Wildlife Management Authority, durante questi ultimi mesi di particolare allarme climatico, hanno elevato la soglia di attenzione, effettuando analisi su molte delle carcasse di pachidermi disseminate nel parco ed operando cremazioni preventive. Il parco di Hwange fa parte dell’enorme area transfrontaliera di KAZA, che include aree di conservazione di Zimbabwe, Zambia, Namibia, Botswana e Angola e nella quale gli animali hanno ritrovato corridoi migratori lungo i quali si possono spostare liberamente. Ma anche l’antrace ha una corsia preferenziale lungo queste autostrade naturali e i pachidermi sanno che a Hwange possono trovare l’acqua nelle pozze artificiali alimentate da pompe a pannelli solari e generatori diesel. Tuttavia, il livello delle pozze, anche di quelle più capienti, sta diminuendo a vista d’occhio e le falde sotterranee dalle quali si preleva l’acqua, non sono inesauribili. Anche la capacità delle pompe è limitata e se si considera che in un’ora più di duecento elefanti possono visitare una pozza e ciascun elefante può bere fino a 100 o 200 litri di acqua per volta, è facile immaginare come decine di migliaia di litri d’acqua possano svanire in un tempo brevissimo.
LA MALATTIA DEGLI IMPALA
Più ad est, nella valle dello Zambesi, la situazione non è affatto migliore: i temporali avrebbero già dovuto elargire il prezioso liquido che ogni creatura sta aspettando da tempo. Ma il cielo è terso e la pioggia non arriva ancora. Qui, è impossibile notare come il mantello fulvo di molti impala, le graziose antilopi dalle corna a forma di lira, sia ingrigito e si incontrino talvolta loro carcasse intatte, come se nemmeno i necrofagi più incalliti le avessero degnate di uno sguardo. Si tratta del manje, un’altra infezione batterica che affligge gli impala durante i periodi di siccità, attaccandone la pelle e portando l’animale ad un progressivo indebolimento che culmina con la morte. Nella Mana Pools, lungo la riva meridionale dello Zambesi, questa infezione è piuttosto comune verso la fine della stagione secca e normalmente contagia una piccola percentuale di individui. Ma quest’anno, gli “impala grigi” sono straordinariamente numerosi e le autorità nutrono forte preoccupazione. Soltanto le piogge potranno spazzare via l’epidemia. Le Mana Pools sono un paradiso ecologico di incommensurabile valore, dichiarato dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità e nel quale la straordinaria biodiversità attira ogni anno migliaia di visitatori e ricercatori. Il nome “Mana”, in lingua Shona significa “quattro” e deriva dalle quattro piscine naturali formate dal fiume Mana lungo il suo corso prima di gettarsi nello Zambesi. Long Pool è una delle più grandi tra le quattro piscine che si estende per centinaia di metri ed ospita una cospicua fauna avicola acquatica, branchi di ippopotami e un numero straordinario di coccodrilli. Pochi di noi ricordano di aver mai visto questa piscina asciutta ed osservarla ora, nel mese di dicembre, priva di acqua, con il fango del fondale rinsecchito, grigio e decorato da mille crepe irregolari è uno spettacolo desolante. «È la peggiore siccità che si ricordi dal 1992», mi confessa amaramente “Baba Mana” Stretch Ferreira, una delle guide più anziane ed esperte del Parco Nazionale di Mana Pools, mentre osserviamo la desolazione di queste oasi palustri normalmente gremite di vita.
I GIOVANI PERISCONO
Ma qui a Mana, l’acqua non è un problema: lo Zambesi, il quarto fiume più lungo d’Africa, è lì dietro la fila di alberi del margine fluviale, oltre i mogani e gli alberi delle salsicce. Perché allora gli animali soffrono e muoiono? Non si tratta soltanto di acqua per dissetarsi. L’acqua è vitale non solo per gli animali, ma anche per la vegetazione: senza l’acqua, l’erba e gli arbusti ingialliscono, drenando le sostanze nutrienti nella parte sotterranea dello stelo, inaccessibile a molti erbivori. Così alcuni di loro trovano a disposizione soltanto cibo scarso in termini di quantità e qualità, andando incontro ad una progressiva denutrizione. Alcuni sono in grado di digerire più facilmente la cellulosa delle piante, avendo così accesso a foraggio che invece i non-ruminanti digeriscono con maggiore difficoltà, andando perciò incontro a maggiori privazioni. Il problema dello scarso valore nutritivo del foraggio è particolarmente evidente tra gli elefanti, che pur avendo una dieta estremamente variegata, necessitano quotidianamente di un’enorme quantità di cibo, correndo il rischio di incorrere in denutrizione quando le condizioni climatiche risultano particolarmente avverse. Questa ipotesi mi è stata suggerita da un anziano maschio di elefante che, aggirandosi nel campo, con precisi e ripetuti calci, scavava il terreno in prossimità dei ciuffi d’erba rinsecchiti, portando in superficie il rizoma, la parte sotterranea dello stelo delle piante erbacee, dove vengono drenati i nutrienti durante la stagione secca. Questo elefante di grande esperienza sapeva che quella era la parte più nutriente dell’erba a disposizione e la sua conoscenza gli permetteva di mantenersi in forma nonostante la carestia. L’esperienza degli individui anziani è spesso fondamentale per sopravvivere in condizioni estreme ed infatti, tra le innumerevoli carcasse di elefanti morti non ricordo di aver mai visto un individuo anziano: la maggior parte erano esemplari giovani, sotto i trent’anni, oppure piccoli, che ancora ignoravano i preziosi segreti della sopravvivenza. In questo contesto è importante sottolineare la contingente situazione di sovrappopolamento degli elefanti: nel parco di Hwange vivono più si 40.000 esemplari, contro una capacità ecologica di sostentamento che supera di poco i 20.000 individui. Che la natura stia cercando a suo modo di riportare le cose alla normalità?
BUFALI MALATI
Più ad ovest. Verso il fiume Rukometchi, alle carcasse di elefanti si aggiungono quelle dei bufali corpi emaciati che giacciono intatti qua e là, in una macabra decorazione della boscaglia in attesa di decomporsi. Anche in questo caso la domanda che sorge spontanea è perché molti bufali appaiono in salute ed altri invece deperiscono e muoiono? Come nel caso dell’antrace anche qui a Mana Pools, le condizioni avverse che hanno portato alla carestia, hanno anche favorito l’insorgere di epidemie, come la polmonite nel caso dei bufali. Un pomeriggio di fine novembre, una femmina di bufalo solitaria si abbevera al fiume Zambesi, magra e denutrita: un centinaio di metri più a valle, una leonessa la osserva, all’ombra di un cespuglio. Il bufalo termina l’abbeverata, si volta e lentamente risale l’argine lungo un sentiero scavato dagli ippopotami; la leonessa si muove rapida ed invisibile, nascosta dall’argine fluviale e quando riappare dall’imbocco del sentiero, soltanto pochi metri la separano dal bovino. Con due falcate silenziose la leonessa balza sul dorso del bufalo, in pochi istanti il bufalo è a terra, il muro girato in una posizione impossibile, inchiodato con corna piantate nel terreno e dal morso letale del felino alla gola. I minuti trascorrono lenti mentre la vita si spegne progressivamente nel grosso erbivoro. Quando finalmente il bufalo giace morto, una seconda leonessa giunge sul luogo dell’uccisione: le due fiere annusano il bufalo a lungo, poi abbandonano il cadavere e si allontanano scomparendo nella boscaglia. Perché quest’uccisione inutile? Semplicemente i leoni hanno avvertito l’infezione ed hanno preferito evitare di cibarsi di un animale infetto. La facilità con cui in questo periodo i leoni abbattono i bufali, malati e denutriti, porterà conseguenze insospettabili quando le piogge torneranno sulle Mana Pools e i bufali si rimetteranno in forma: il bufalo è un animale forte, tenace e letale e sospetto che saranno molti i leoni a subire lesioni o addirittura perire durante la caccia a questi erbivori, prima di riabituarsi alla pericolosità di questa preda ambita. Le autorità e i proprietari delle concessioni hanno cercato di far fronte alla carestia distribuendo balle di fieno lungo il parco, ma gli animali sono sospettosi ed le ignorano: occorrerà tempo prima che alcuni di loro si azzardino a sperimentare questo insolito cibo e trasmettano ad altri individui l’informazione che esso è commestibile.
LA VERITA’ SULLE CASCATE
Nel frattempo, mentre i veri drammi della siccità passavano inosservati ai più, una certa informazione si concentrava sulle Cascate Vittoria, millantando che questa meraviglia si trovava ormai in secca e supportando queste false notizie con particolari inquadrature delle cascate (lo ha fatto anche l’autorevole The Guardian pubblicando un video che è stato colpevolmente rilanciato anche dalla nostra rivista). Le Cascate Vittoria sono originate dal fiume Zambesi, il quarto fiume più lungo d’Africa, il cui livello in Zimbabwe viene monitorato lungo tutto il suo corso all’interno dei confini nazionali, incluso il Lago Kariba, dalle 13 stazioni idrometriche della Zambezi River Authority (ZRA). Tra queste, una delle più strategiche è collocata proprio a Victoria Falls, a poche centinaia di metri dalle cascate. I rilevamenti quotidiani sono molto attendibili e risultano indispensabili per monitorare la portata d’acqua del grande fiume durante tutto il corso dell’anno. E i dati raccolti in questi mesi non rilevano alcuna anomalia. In Africa australe è prevalentemente presente un clima subtropicale, che vede l’alternarsi di una stagione secca ad una stagione delle piogge ed il livello dei corsi d’acqua varia a seconda della stagione e delle precipitazioni. È normale, quindi, che in alcuni periodi dell’anno, al termine della stagione secca, i fiumi raggiungano la loro portata più bassa: è un fatto fisiologico. Le cascate si trovano semplicemente in una fase ciclica dell’anno in cui la loro portata raggiunge valori minimi: le rivelazioni sulla portata dell’acqua confermano che la situazione non è allarmante. A fine gennaio 2020, le piogge sono finalmente arrivate su quasi tutto lo Zimbabwe, portando sollievo alla fauna ed alla flora, nonché all’agricoltura. È tuttavia un dato di fatto che i cambiamenti climatici stanno affliggendo anche quest’area del pianeta ed in particolare lo Zimbabwe, dove si è notato da alcuni anni uno slittamento in avanti delle stagioni. Le piogge attese a novembre sono giunte con due mesi di ritardo, causando una strage di animali.
IN VIAGGIO IN ZIMBABWE CON UNA GUIDA SPECIALE: GIANNI BAUCE
L’autore dell’articolo, Gianni Bauce, guida naturalistica e corrispondente per la rivista Africa dallo Zimbabwe, è tra i massimi esperti italiani di fauna africana. Sarà l’accompagnatore di un viaggio esclusivo, organizzato dal nostro magazine nel cuore dell’Africa australe, dal 1 al 12 novembre 2020.
Un itinerario speciale in un Paese ancora poco conosciuto ma ricco di sorprese che sapranno stupire il viaggiatore: gli animali della Valle dello Zambesi, le antiche rovine di città misteriose, i meravigliosi paesaggi naturali e popolazioni amichevoli.
Un viaggio tra storia, natura e cultura in compagnia di una guida che vi svelerà i segreti nascosti dello Zimbabwe, firmato dalla rivista Africa, in collaborazione con African Path Safaris.
Restano ancora pochi posti disponibili: qui trovi tutte le informazioni sul viaggio.